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Riproponiamo assieme al documentario anche due nostri articoli attinenti ai temi trattati: il primo "Nelle mani dei burattinai. L'attacco all'Italia" del 12 luglio 2011; il secondo "Per (s)finirla una volta per tutte con la bufala dello spread" del 11 dicembre 2012. Buona visione e lettura.
Altri due nostri articoli saranno utili per capire che cosa è successo ai Titoli di Stato italiani tra il novembre e il dicembre 2011, quando suggerivamo l'acquisto di BTP, che a nostro modo di vedere erano ampiamente sottovalutati, puntando su una normalizzazione della curva dei tassi d'interesse.
1) Netta inversione della curva dei rendimenti. Schizzano i quinquennali. (del 25 novembre 2011)
2) Rendimenti sui BTP: la curva si è normalizzata. (del 16 dicembre 2011)
Nelle mani dei burattinai. L'attacco all'Italia. (Articolo pubblicato su XTraderNet Blog il 12 luglio 2011)
di Pier Paolo Soldaini
Ieri, in tarda serata, mi è capitato di ascoltare su RAI 3, nella trasmissione TG3 Linea Notte, un’intervista in diretta al sempre ottimo Oscar Giannino. Il tema era d’obbligo: il calo della fiducia da parte dei mercati finanziari nei confronti del sistema Italia, concretizzatosi nel forte ribasso di Piazza Affari e nell’improvvisa impennata dello spread BTP-Bund che ha visto il rendimento del decennale italiano schizzare (mentre stiamo scrivendo) sopra la soglia del 6% per la prima volta dal 1997. Ciò che mi ha lasciato maggiormente perplesso in tutto l’intervento è stata in particolar modo questa affermazione piuttosto forte del giornalista:
“Chi
sostiene che l’Italia sia vittima di un attacco speculativo e di un
complotto a livello internazionale non sa di cosa parla, i mercati
finanziari stanno dando un segnale forte alla classe politica italiana”.
Già,
i mercati finanziari. Si tende sempre a parlare dei mercati finanziari
in forma impersonale, come se questi fossero semplicemente quella mano
invisibile di “smithiana” memoria, sempre infallibile e perfetta nel
regolare tutte le inefficienze e gli squilibri. Spesso si dimentica che
dietro questo soggetto, sempre presentato, per così dire, in forma
anonima, si nascondono (e poi neanche tanto) dei precisi soggetti in
carne ed ossa: persone con nomi e cognomi che fanno capo a lobbies e
potentati economici ben individuabili. Sono gruppi di persone e di
apparati che hanno interessi e obiettivi ben precisi, tuttavia poco
identificabili dal grande pubblico. A nostro avviso, quello che sta
accadendo in queste ultime ore alla piazza finanziaria italiana va ben
oltre la semplice speculazione. La cosiddetta “logica di mercato” di cui
si parla non afferisce affatto alla logica finanziaria intesa in senso
stretto, che vedrebbe i generici “operatori” sempre in cerca di
occasioni per far soldi, e che presuppone la disamina di una situazione
di fatto nella quale intervenire in maniera opportuna per trarre un
vantaggio, quanto piuttosto ad una logica autoreferenziale. Infatti, se
veramente esistesse un mercato, e una sua logica operativa, non si
capisce per quale motivo questa stessa “logica” non dovrebbe colpire gli
Stati Uniti, che hanno un debito pubblico molto più elevato di quello
medio europeo, rappresentando quindi una chiara occasione speculativa.
Essa si accanisce invece su Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, e
adesso anche sull’Italia.
Ma quali sono le motivazioni di tutto ciò?
Teniamo presente che l’Italia è in realtà uno dei pochissimi paesi che
ha retto molto meglio di tanti altri alla crisi economico-finanziaria
cominciata nel 2008, vuoi per il particolare tessuto produttivo (mi
riferisco alla piccola e media impresa), vuoi per un più elevato grado
di solidità del sistema bancario (poco esposto sui debiti a rischio
default), vuoi per una diversa struttura del suo stesso debito pubblico.
Non dimentichiamo inoltre che, a fronte di un rapporto piuttosto
elevato debito pubblico/PIL (pari a oltre il 120%), il rapporto
deficit/PIL è in realtà il migliore in Europa dopo quello tedesco.
Alcune realtà industriali italiane, soprattutto bancarie ed
assicurative, potrebbero rappresentare in questo momento un boccone
succulento per tentativi di scalate esterne a prezzi di saldo. Teniamo
conto che nelle ultime ore di contrattazione parecchi titoli non
arrivano a capitalizzare in borsa neanche i mezzi propri, quotando una
frazione del cosiddetto book value. Inoltre un eventuale default del
sistema Italia avrebbe un forte contraccolpo sul sistema Europa, e
potrebbe tradursi nella fine, non solo della moneta unica, ma anche del
processo di unificazione del vecchio continente, che dà non pochi
fastidi a nuovi capitalismi emergenti, di bande, come quello russo, e di
stato, come quello cinese. Importante in questo senso anche l’angolo
visuale geopolitico, che vede l’Italia in una posizione rilevante per
ciò che concerne i possibili riassetti futuri nel Nord Africa e nel
Medio Oriente, ma quest’ultimo argomento è di vasta portata e non lo
affronteremo in questa sede. Detto questo, sia chiaro, non si intende
assolvere la classe politica italiana dalle proprie responsabilità e
dalle scelte errate, che hanno offerto il pretesto per tutto quanto sta
accadendo in queste ultime ore. L’Italia è un paese bloccato, e la
classe politica, tutta quanta, a prescindere da destra e sinistra, non
ha la capacità (o la volontà) di affrontare e risolvere radicalmente
determinati problemi. Primo fra tutti quello dell’elevato grado di
burocratizzazione del paese, che tarpa le ali a tutti coloro che
avrebbero la propensione ad intraprendere. Secondo, ma non per
importanza, l’elevato grado di inefficienza dell’amministrazione
pubblica e del parastato, che serve solo a creare e mantenere un
serbatoio di consenso funzionale sia alla sinistra che alla destra. Del
resto non si vuole neanche intendere che siano tollerabili queste vere e
proprie aggressioni politico-finanziarie, che si ricollegano a scopi
ben diversi e più profondi della semplice speculazione. Gli stessi
soggetti che hanno dato il “la” a questo nuovo attacco, dopo quelli a
Irlanda, Grecia e Portogallo, le cosiddette “agenzie di rating”, si
trovano in una posizione assai dubbia, se la si guarda dal punto di
vista della composizione del loro capitale sociale.
Facciamo un esempio
pratico. Prendiamo Moody’s, forse la più nota e la più nominata tra le
agenzie di rating, e domandiamoci da chi è controllata, cioè come è
composto il suo azionariato. Nomi e cognomi. Con oltre il 13% del
capitale spicca il fondo Berkshire Hathaway che fa capo a un certo
Warren Buffett. Lo conoscete? Poi abbiamo Fidelity, uno dei più grandi
gestori di fondi a livello mondiale, con oltre il 10%. E così via,
passando attraverso le partecipazioni di BlackRock, Morgan Stanley
Investor, e altri gestori di fondi. E se passiamo ad analizzare
l’azionariato di Fitch o di Standard & Poor’s che cosa troviamo?
Sempre Fidelity, BlackRock, e gli stessi Signori di prima, tutti gestori
di professione. Ma come mai coloro che dovrebbero emettere delle
valutazioni con un certo grado di obiettività su aziende, fondi,
strumenti finanziari, e sistemi paese, sono gli stessi che operano
comprando e vendendo quegli stessi strumenti, oggetto di valutazione,
nelle proprie attività di gestione?
Forse
i giornalisti di professione, e assieme ad essi l’ottimo Oscar
Giannino, dovrebbero cominciare a porsi queste domande. Da parte nostra
penso che sarebbe molto interessante ascoltare le loro argomentazioni
riguardo le possibili risposte a questi interrogativi. E se tali
risposte non dovessero essere convincenti, noi non ci sentiremmo in ogni
caso di tacciarli di ignoranza in materia economico-finanziaria.
Per sfinirla una volta per tutte con la bufala dello spread. (Articolo pubblicato su XTraderNet Blog il 11 dicembre 2012)
di Pier Paolo Soldaini
Il famigerato spread, termine agitato in continuazione dai media mainstream come uno spauracchio e ormai, di conseguenza, entrato prepotentemente anche nel gergo della leggendaria casalinga di Voghera, viene sempre ostinatamente ed erroneamente preso come riferimento per la misura del rischio paese anche in queste ultime ore. A dire il vero è poco più di un anno che gli italiani hanno familiarizzato con questo termine tecnico, che in precedenza non conoscevano affatto, proprio perchè prima non ne avevano mai sentito parlare. In realtà lo spread è un vero e proprio imbroglio, una bufala colossale, perchè non rappresenta una grandezza assoluta quanto piuttosto una misura relativa. Cerchiamo di comprendere cosa significa. Lo spread BTP-Bund è un differenziale che misura, più precisamente, la differenza tra il rendimento di un titolo di Stato italiano, il BTP con scadenza decennale, e l'omologo tedesco. Il rendimento per coloro che investono nel titolo si traduce nel costo effettivo che lo Stato deve sostenere per finanziare il proprio debito pubblico in fase di emissione.
Dunque è quest'ultimo, cioè il
rendimento, e non lo spread, che risulta più idoneo a monitorare
l'andamento del rischio paese percepito dai mercati finanziari. Questo
per il semplice motivo che, come si diceva all'inizio, esso è una
grandezza relativa che si espande o si contrae non solo in funzione
delle variazioni di rendimento del decennale italiano, ma anche in
funzione delle variazioni di rendimento di quello tedesco. Significa
cioè che, a parità di rendimento del decennale italiano, se il
rendimento del Bund dovesse contrarsi ne risulterebbe un allargamento
dello spread. Vediamo il grafico nell'esempio (un andamento fittizio e
semplificato delle due grandezze). Nei periodi da 1 a 4 si supponga che
il tasso sul BTP salga dal 5% al 5,3%, poi al 5,6% e al 5,9%, e che nel
contempo il rendimento sul Bund salga anch'esso dal 2% al 2,3%, poi al
2,6% e ancora al 2,9%. Lo spread rimarrebbe invariato per tutto il corso
del tempo a 300 punti base, mentre in realtà il costo di finanziamento
per l'Italia, e quindi il rischio paese percepito, sarebbe salito di 90
punti base. Nei periodi da 4 a 8 si supponga che il tasso sul BTP resti
invariato al 5,9%, mentre il rendimento del Bund scenda invece
gradualmente dal 2,9% all'1,4%. Lo spread in questo caso si
allargherebbe da 300 a 450 punti base, ma il rischio paese percepito
sull'Italia sarebbe invece invariato. In entrambi i casi lo spread non
dice la verità. Questo è quanto accaduto ad esempio tra novembre 2011 e
giugno 2012, quando il rendimento del Bund scese dal 2,3% fino
all'1,17%, contribuendo così a far allargare lo spread di oltre 110
punti base, indipendentemente dall'andamento del rendimento del BTP
decennale. Lo scorso giugno infatti lo spread BTP-Bund era risalito a
ridosso dei 480 basis points, lo stesso livello di novembre/dicembre
2011, con la differenza che alla fine di novembre i rendimenti su alcune
aste erano schizzati vicino all'8%, mentre a giugno il costo dello
Stato per finanziarsi in un orizzonte temporale di dieci anni si
attestava poco sopra il 6%. Una bella differenza! Lo spread in
questo caso ci ha raccontato una bugia. La verità riguardo il rischio
paese Italia, percepito dai mercati dopo la dipartita del "Professore",
ce la diranno invece le aste dei titoli di Stato che si terranno nei
prossimi giorni. Con buona pace di tutti coloro che ancora una volta si
ostinano a parlare di spread.
Netta inversione nella curva dei rendimenti. Schizzano in alto i quinquennali.
(articolo del 25 novembre 2011)
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NB: Ricordiamo che i rendimenti illustrati sul grafico per rappresentare le curve sono al netto della ritenuta fiscale sulle cedole e sul capital gain nell'ipotesi che il titolo venga tenuto in portafoglio fino alla scadenza.
Rendimenti sui BTP: la curva si è normalizzata (Articolo del 16 dicembre 2011)
di Pier Paolo SoldainiNell'articolo dello scorso 25 novembre intitolato "Netta inversione nella curva dei rendimenti. Schizzano in alto i quinquennali" avevamo messo in evidenza l'inversione verificatasi nella curva dei rendimenti sui BTP nell'intervallo 3/5 - 10 anni, con i rendimenti a media scadenza che erano arrivati attorno al 6,75% netto. A tale proposito avevamo suggerito di monitorare due titoli BTP, il primo con scadenza agosto 2014 e cedola al 4,25%, e il secondo con scadenza dicembre 2013 e cedola al 3,75%, da acquistare per possibili speculazioni di brevissimo termine puntando su un'eventuale normalizzazione della curva. Vediamo che cosa è successo e come sono andate le operazioni.
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© XTraderNet - dott. Pier Paolo Soldaini
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Ottimo post Pier Paolo ... complimenti!!
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