venerdì 22 febbraio 2013

La grande speculazione e la bufala dello spread nell'attacco contro l'Italia.

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Raramente mi capita di trovare qualcosa di interessante da seguire in televisione. Mercoledì sera mi è capitato di vedere un documentario/inchiesta, che ritengo uno dei pochissimi programmi veramente interessanti proposti dai palinsesti da parecchie settimane a questa parte. Realizzato dal giornalista Alessandro Banfi, sullo stile e con il taglio del ben noto "Inside Job", il documentario spiega che cosa è accaduto veramente in Italia negli ultimi due anni, a partire dalla primavera del 2011. Moltissimi gli interventi di professionisti dell'economia e della finanza, italiani ed esteri, politici ed esperti tra i quali figurano: Angelo Drusiani della Banca Albertini Syz, Massimiliano Pero di Redi & Partners, Lawrence Auriana titolare e cofondatore del Fondo Kauffman, Charles A. Kupchan professore presso il Council for Foreign Relations, Olivier Blanchard capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Michele Ruggiero sostituto procuratore di Trani che aprì un'inchiesta contro le agenzie di rating, Stefano Fassina responsabile economico del Pd, Mario Baldassarri già viceministro Lista Monti, Renato Brunetta ex ministro e responsabile economico Pdl, Marco Rizzo movimento Comunisti-Sinistra popolare, Luca Ricolfi sociologo e commentatore de La Stampa, Wolfgang Munchau editorialista del Financial Times, Paul De Grauwe professore di Economia alla London School of Economics, Elio Lanutti di Adusbef, Vladimir Yakunin imprenditore russo, Edward Luttwak esperto del Center for Strategic Studies, e molti altri. Vale la pena di seguirlo con attenzione dall'inizio alla fine per comprendere che cosa cosa si sia mosso e che cosa è veramente accaduto a livello internazionale attorno all'Italia, durante la cosiddetta “tempesta dello spread”.



Riproponiamo assieme al documentario anche due nostri articoli attinenti ai temi trattati: il primo "Nelle mani dei burattinai. L'attacco all'Italia" del 12 luglio 2011; il secondo "Per (s)finirla una volta per tutte con la bufala dello spread" del 11 dicembre 2012. Buona visione e lettura.

Altri due nostri articoli saranno utili per capire che cosa è successo ai Titoli di Stato italiani tra il novembre e il dicembre 2011, quando suggerivamo l'acquisto di BTP, che a nostro modo di vedere erano ampiamente sottovalutati, puntando su una normalizzazione della curva dei tassi d'interesse.

1) Netta inversione della curva dei rendimenti. Schizzano i quinquennali. (del 25 novembre 2011)

2) Rendimenti sui BTP: la curva si è normalizzata. (del 16 dicembre 2011)

Nelle mani dei burattinai. L'attacco all'Italia. (Articolo pubblicato su XTraderNet Blog il 12 luglio 2011)

di Pier Paolo Soldaini

Ieri, in tarda serata, mi è capitato di ascoltare su RAI 3, nella trasmissione TG3 Linea Notte, un’intervista in diretta al sempre ottimo Oscar Giannino. Il tema era d’obbligo: il calo della fiducia da parte dei mercati finanziari nei confronti del sistema Italia, concretizzatosi nel forte ribasso di Piazza Affari e nell’improvvisa impennata dello spread BTP-Bund che ha visto il rendimento del decennale italiano schizzare (mentre stiamo scrivendo) sopra la soglia del 6% per la prima volta dal 1997. Ciò che mi ha lasciato maggiormente perplesso in tutto l’intervento è stata in particolar modo questa affermazione piuttosto forte del giornalista: 

Chi sostiene che l’Italia sia vittima di un attacco speculativo e di un complotto a livello internazionale non sa di cosa parla, i mercati finanziari stanno dando un segnale forte alla classe politica italiana”. 

Già, i mercati finanziari. Si tende sempre a parlare dei mercati finanziari in forma impersonale, come se questi fossero semplicemente quella mano invisibile di “smithiana” memoria, sempre infallibile e perfetta nel regolare tutte le inefficienze e gli squilibri. Spesso si dimentica che dietro questo soggetto, sempre presentato, per così dire, in forma anonima, si nascondono (e poi neanche tanto) dei precisi soggetti in carne ed ossa: persone con nomi e cognomi che fanno capo a lobbies e potentati economici ben individuabili. Sono gruppi di persone e di apparati che hanno interessi e obiettivi ben precisi, tuttavia poco identificabili dal grande pubblico. A nostro avviso, quello che sta accadendo in queste ultime ore alla piazza finanziaria italiana va ben oltre la semplice speculazione. La cosiddetta “logica di mercato” di cui si parla non afferisce affatto alla logica finanziaria intesa in senso stretto, che vedrebbe i generici “operatori” sempre in cerca di occasioni per far soldi, e che presuppone la disamina di una situazione di fatto nella quale intervenire in maniera opportuna per trarre un vantaggio, quanto piuttosto ad una logica autoreferenziale. Infatti, se veramente esistesse un mercato, e una sua logica operativa, non si capisce per quale motivo questa stessa “logica” non dovrebbe colpire gli Stati Uniti, che hanno un debito pubblico molto più elevato di quello medio europeo, rappresentando quindi una chiara occasione speculativa. Essa si accanisce invece su Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, e adesso anche sull’Italia. 

Ma quali sono le motivazioni di tutto ciò? Teniamo presente che l’Italia è in realtà uno dei pochissimi paesi che ha retto molto meglio di tanti altri alla crisi economico-finanziaria cominciata nel 2008, vuoi per il particolare tessuto produttivo (mi riferisco alla piccola e media impresa), vuoi per un più elevato grado di solidità del sistema bancario (poco esposto sui debiti a rischio default), vuoi per una diversa struttura del suo stesso debito pubblico. Non dimentichiamo inoltre che, a fronte di un rapporto piuttosto elevato debito pubblico/PIL (pari a oltre il 120%), il rapporto deficit/PIL è in realtà il migliore in Europa dopo quello tedesco. Alcune realtà industriali italiane, soprattutto bancarie ed assicurative, potrebbero rappresentare in questo momento un boccone succulento per tentativi di scalate esterne a prezzi di saldo. Teniamo conto che nelle ultime ore di contrattazione parecchi titoli non arrivano a capitalizzare in borsa neanche i mezzi propri, quotando una frazione del cosiddetto book value. Inoltre un eventuale default del sistema Italia avrebbe un forte contraccolpo sul sistema Europa, e potrebbe tradursi nella fine, non solo della moneta unica, ma anche del processo di unificazione del vecchio continente, che dà non pochi fastidi a nuovi capitalismi emergenti, di bande, come quello russo, e di stato, come quello cinese. Importante in questo senso anche l’angolo visuale geopolitico, che vede l’Italia in una posizione rilevante per ciò che concerne i possibili riassetti futuri nel Nord Africa e nel Medio Oriente, ma quest’ultimo argomento è di vasta portata e non lo affronteremo in questa sede. Detto questo, sia chiaro, non si intende assolvere la classe politica italiana dalle proprie responsabilità e dalle scelte errate, che hanno offerto il pretesto per tutto quanto sta accadendo in queste ultime ore. L’Italia è un paese bloccato, e la classe politica, tutta quanta, a prescindere da destra e sinistra, non ha la capacità (o la volontà) di affrontare e risolvere radicalmente determinati problemi. Primo fra tutti quello dell’elevato grado di burocratizzazione del paese, che tarpa le ali a tutti coloro che avrebbero la propensione ad intraprendere. Secondo, ma non per importanza, l’elevato grado di inefficienza dell’amministrazione pubblica e del parastato, che serve solo a creare e mantenere un serbatoio di consenso funzionale sia alla sinistra che alla destra. Del resto non si vuole neanche intendere che siano tollerabili queste vere e proprie aggressioni politico-finanziarie, che si ricollegano a scopi ben diversi e più profondi della semplice speculazione. Gli stessi soggetti che hanno dato il “la” a questo nuovo attacco, dopo quelli a Irlanda, Grecia e Portogallo, le cosiddette “agenzie di rating”, si trovano in una posizione assai dubbia, se la si guarda dal punto di vista della composizione del loro capitale sociale. 
Facciamo un esempio pratico. Prendiamo Moody’s, forse la più nota e la più nominata tra le agenzie di rating, e domandiamoci da chi è controllata, cioè come è composto il suo azionariato. Nomi e cognomi. Con oltre il 13% del capitale spicca il fondo Berkshire Hathaway che fa capo a un certo Warren Buffett. Lo conoscete? Poi abbiamo Fidelity, uno dei più grandi gestori di fondi a livello mondiale, con oltre il 10%. E così via, passando attraverso le partecipazioni di BlackRock, Morgan Stanley Investor, e altri gestori di fondi. E se passiamo ad analizzare l’azionariato di Fitch o di Standard & Poor’s che cosa troviamo? Sempre Fidelity, BlackRock, e gli stessi Signori di prima, tutti gestori di professione. Ma come mai coloro che dovrebbero emettere delle valutazioni con un certo grado di obiettività su aziende, fondi, strumenti finanziari, e sistemi paese, sono gli stessi che operano comprando e vendendo quegli stessi strumenti, oggetto di valutazione, nelle proprie attività di gestione? 

Forse i giornalisti di professione, e assieme ad essi l’ottimo Oscar Giannino, dovrebbero cominciare a porsi queste domande. Da parte nostra penso che sarebbe molto interessante ascoltare le loro argomentazioni riguardo le possibili risposte a questi interrogativi. E se tali risposte non dovessero essere convincenti, noi non ci sentiremmo in ogni caso di tacciarli di ignoranza in materia economico-finanziaria.


Per sfinirla una volta per tutte con la bufala dello spread. (Articolo pubblicato su XTraderNet Blog il 11 dicembre 2012)

di Pier Paolo Soldaini

Il famigerato spread, termine agitato in continuazione dai media mainstream come uno spauracchio e ormai, di conseguenza, entrato prepotentemente anche nel gergo della leggendaria casalinga di Voghera, viene sempre ostinatamente ed erroneamente preso come riferimento per la misura del rischio paese anche in queste ultime ore. A dire il vero è poco più di un anno che gli italiani hanno familiarizzato con questo termine tecnico, che in precedenza non conoscevano affatto, proprio perchè prima non ne avevano mai sentito parlare. In realtà lo spread è un vero e proprio imbroglio, una bufala colossale, perchè non rappresenta una grandezza assoluta quanto piuttosto una misura relativa. Cerchiamo di comprendere cosa significa. Lo spread BTP-Bund è un differenziale che misura, più precisamente, la differenza tra il rendimento di un titolo di Stato italiano, il BTP con scadenza decennale, e l'omologo tedesco. Il rendimento per coloro che investono nel titolo si traduce nel costo effettivo che lo Stato deve sostenere per finanziare il proprio debito pubblico in fase di emissione. 
Dunque è quest'ultimo, cioè il rendimento, e non lo spread, che risulta più idoneo a monitorare l'andamento del rischio paese percepito dai mercati finanziari. Questo per il semplice motivo che, come si diceva all'inizio, esso è una grandezza relativa che si espande o si contrae non solo in funzione delle variazioni di rendimento del decennale italiano, ma anche in funzione delle variazioni di rendimento di quello tedesco. Significa cioè che, a parità di rendimento del decennale italiano, se il rendimento del Bund dovesse contrarsi ne risulterebbe un allargamento dello spread. Vediamo il grafico nell'esempio (un andamento fittizio e semplificato delle due grandezze). Nei periodi da 1 a 4 si supponga che il tasso sul BTP salga dal 5% al 5,3%, poi al 5,6% e al 5,9%, e che nel contempo il rendimento sul Bund salga anch'esso dal 2% al 2,3%, poi al 2,6% e ancora al 2,9%. Lo spread rimarrebbe invariato per tutto il corso del tempo a 300 punti base, mentre in realtà il costo di finanziamento per l'Italia, e quindi il rischio paese percepito, sarebbe salito di 90 punti base. Nei periodi da 4 a 8 si supponga che il tasso sul BTP resti invariato al 5,9%, mentre il rendimento del Bund scenda invece gradualmente dal 2,9% all'1,4%. Lo spread in questo caso si allargherebbe da 300 a 450 punti base, ma il rischio paese percepito sull'Italia sarebbe invece invariato. In entrambi i casi lo spread non dice la verità. Questo è quanto accaduto ad esempio tra novembre 2011 e giugno 2012, quando il rendimento del Bund scese dal 2,3% fino all'1,17%, contribuendo così a far allargare lo spread di oltre 110 punti base, indipendentemente dall'andamento del rendimento del BTP decennale. Lo scorso giugno infatti lo spread BTP-Bund era risalito a ridosso dei 480 basis points, lo stesso livello di novembre/dicembre 2011, con la differenza che alla fine di novembre i rendimenti su alcune aste erano schizzati vicino all'8%, mentre a giugno il costo dello Stato per finanziarsi in un orizzonte temporale di dieci anni si attestava poco sopra il 6%. Una bella differenza! Lo spread in questo caso ci ha raccontato una bugia. La verità riguardo il rischio paese Italia, percepito dai mercati dopo la dipartita del "Professore", ce la diranno invece le aste dei titoli di Stato che si terranno nei prossimi giorni. Con buona pace di tutti coloro che ancora una volta si ostinano a parlare di spread.

Netta inversione nella curva dei rendimenti. Schizzano in alto i quinquennali.

(articolo del 25 novembre 2011)

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di Pier Paolo Soldaini

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Torniamo a parlare di rendimenti sul BTP e andiamo ad osservare che cosa è accaduto nelle ultime due settimane dopo la dipartita del governo Berlusconi e l'avvento del governo tecnico. Come sempre abbiamo utilizzato nell'analisi del confronto tra le due situazioni una polinomiale di grado 6 che va a smussare la rispettiva spezzata dei tassi di rendimento sulle diverse scadenze, rendendo più immediata ed agevole l'analisi. La curva di colore azzurro rappresenta i rendimenti dello scorso 10 novembre, quella in rosso i rendimenti di stamani (salvo variazioni degli ultimi minuti). La prima considerazione che balza subito all'occhio è il pronunciato innalzamento della curva, in particolar modo nell'intervallo delle scadenze a tre e cinque anni. Inoltre, quello che fino a due settimane fa poteva essere considerato un appiattimento nell'intervallo 4-10 anni, oggi si presenta come una vera e propria inversione della curva, con i tassi a 4-5 anni che superano nettamente quelli a dieci. Puntando su una "normalizzazione" delle curva stessa sarà opprtuno utilizzare i BTP con scadenza a quattro-cinque anni per eventuali operazioni speculative, poichè nelle prossime settimane potrebbero presentare una volatilità più elevata rispetto alle altre scadenze. Si possono utilizzare, ad esempio, il BTP scadenza 1° agosto 2014 con cedola 4,25% e il BTP scadenza 15 dicembre 2013 con cedola 3,75%, entrambi tornati a ridosso dei precedenti minimi dello scorso 9 novembre. Sul primo titolo gli eventuali acquisti andranno liquidati in caso di cedimento di quota 92,00, livello al di sotto del quale il rendimento lordo potrebbe salire fino all'8% e cioè in prossimità di prezzi attorno a quota 90,00. In caso di recupero gli obiettivi sono da fissare in successione a 94,00 (rendimento 6,5%), poi 95,75 (rend. 5,83%), e ancora 97,10 (rend. 5,33%). L'altro BTP, quello con scadenza 2013, ha come supporto l'area 92,92, quindi uno stop loss da inserire sotto 92,90, con possibilità di discesa in questo caso fino a 91,30. Ragionando per analogia con l'altro titolo gli obiettivi si individuano in successione a 94,70, poi 95,85 e ancora 97,00.


NB: Ricordiamo che i rendimenti illustrati sul grafico per rappresentare le curve sono al netto della ritenuta fiscale sulle cedole e sul capital gain nell'ipotesi che il titolo venga tenuto in portafoglio fino alla scadenza

 

Rendimenti sui BTP: la curva si è normalizzata (Articolo del 16 dicembre 2011)

di Pier Paolo Soldaini

Nell'articolo dello scorso 25 novembre intitolato "Netta inversione nella curva dei rendimenti. Schizzano in alto i quinquennali" avevamo messo in evidenza l'inversione verificatasi nella curva dei rendimenti sui BTP nell'intervallo 3/5 - 10 anni, con i rendimenti a media scadenza che erano arrivati attorno al 6,75% netto. A tale proposito avevamo suggerito di monitorare due titoli BTP, il primo con scadenza agosto 2014 e cedola al 4,25%, e il secondo con scadenza dicembre 2013 e cedola al 3,75%, da acquistare per possibili speculazioni di brevissimo termine puntando su un'eventuale normalizzazione della curva. Vediamo che cosa è successo e come sono andate le operazioni.

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La normalizzazione della curva dei tassi è arrivata a seguito di una contrazione dei rendimenti proprio nella parte che avevamo ritenuto più anomala (scadenze 2-3-4 anni), con un ridimensionamento del tasso netto dal 6,5%/6,7% all'attuale 4,5%/4,75%. Nel grafico abbiamo come sempre messo a confronto la curva dei tassi sui BTP del 25 novembre (data della precedente analisi), con quella di oggi. L'interpolazione dei dati viene sempre effettuata con una polinomiale di grado 6 che consente un confronto più rapido ed intuitivo dei differenziali sui rendimenti. Ciò che balza all'occhio è la scomparsa della "gobba" sulle scadenze 3-5 anni della curva rossa (25 novembre), oltre ad uno spostamento di tutta la curva verso il basso (curva verde - 15 dicembre).

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Questo movimento dei rendimenti ha fatto lievitare i corsi dei BTP suddetti, che hanno effettuato un corposo rimbalzo tenendo i supporti che avevamo indicato, quindi raggiungendo e superando gli obiettivi che ci eravamo prefissi. In particolare il BTP scadenza agosto 2014 ha tenuto l'area 92,00 ed è risalito fino a raggiungere il terzo target collocato a 97,10. Attualmente i corsi stanno continuando a salire e si muovono attorno a 97,90. Questo titolo è da mantenere con take profit secco sotto 97,10 e nuovo obiettivo a 99,00. Il BTP con scadenza dicembre 2013 ha effettuato un movimento analogo al precedente, e ha centrato e superato il target a 97,00. Adesso si muove attorno a 97,85 e anche in questo caso la posizione è da mantenere, e la lasciamo correre con take profit secco sotto 97,00 e nuovo obiettivo a 98,30.




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