Ci risiamo... la Consob ha reintrodotto a partire da oggi il divieto di vendere allo scoperto (short) i titoli dei settori bancario e assicurativo. Riportiamo il testo del provvedimento direttamente dal sito di Consob.
Roma, 23 luglio 2012
Consob: reintrodotto il divieto di vendite allo scoperto sui titoli bancari e assicurativi
Il provvedimento immediatamente in vigore per tutta la settimana
Il provvedimento immediatamente in vigore per tutta la settimana
Tenuto conto degli andamenti più recenti dei mercati azionari, Consob ha deciso oggi di reintrodurre il divieto delle vendite allo scoperto sui titoli del settore bancario e assicurativo, indicati in allegato.
Il provvedimento ha efficacia dalle ore 13:30 di oggi, 23 luglio 2012, e resta in vigore per tutta la settimana fino alle ore 18:00 di venerdì 27 luglio p. v. Si applica a tutte le vendite indipendentemente dalla sede di esecuzione.
Il divieto riguarda sia le vendite allo scoperto assistite dal prestito titoli ("covered") sia quelle "nude", già vietate dalla precedente delibera (n. 17993) dell'11 novembre 2011.
Gli intermediari sono tenuti ad adottare tutte le misure e le cautele necessarie al più rigoroso rispetto della delibera.
Il testo integrale del provvedimento (delibera n. 18283 del 23 luglio 2012) nonché l'elenco dei titoli interessati sono disponibili sul sito www.consob.i
A tale proposito riproponiamo un nostro articolo dello scorso 23 novembre 2011, pubblicato anche sul quotidiano Finanza & Mercati.
E’ ormai
noto che con le delibere n°17992 e 17993, dello scorso 11 novembre, la
CONSOB ha deciso di prorogare le restrizioni in materia di vendita allo
scoperto sui titoli del comparto finanziario, alle quali ha aggiunto,
per tutti i titoli quotati sul mercato italiano, il divieto di
operazioni di vendita allo scoperto non garantite dalla disponibilità
del titolo stesso al momento dell’ordine (cosiddetto “naked short”).
Nel comunicato dell’Istituto si legge che le misure sono state adottate
in relazione all’attuale andamento dei mercati finanziari caratterizzato
da una volatilità elevata. Da tale provvedimento, è bene ricordarlo,
sono esenti tutti quegli operatori che rientrano nelle categorie di
market maker, liquidity provider e specialist. Ma il divieto di vendita
allo scoperto può essere ritenuto una misura veramente efficace nel
calmierare la variabilità dei corsi azionari e, di conseguenza, nel
ridurre la percezione del rischio da parte degli investitori? La
risposta a questa domanda è no. Cerchiamo di capire perché.
Cosa successe nel 2008-2009 |
(Clicca per ingrandire) |
Cominceremo con l’osservare che
il divieto di vendita allo scoperto genera effetti negativi innanzitutto
sulla liquidità del mercato, quindi sull’efficienza informativa della
variabile prezzo, e ancora sulla media dei rendimenti azionari. E’
facilmente intuibile che in una situazione di mercato decisamente
negativa, vuoi per motivazioni di natura prettamente tecnica, vuoi per
motivazioni di natura fondamentale (micro e macroeconomica), una buona
parte degli operatori sarà orientata ad aprire posizioni ribassiste. Se a
questi operatori si impedisce di assumere posizioni in coerenza con le
proprie aspettative essi si troveranno di fronte ad una duplice scelta:
quella di astenersi dall’operare; oppure, volendo necessariamente
prendere parte al mercato, quella di operare esclusivamente al rialzo.
Nel primo caso si avrà una riduzione nella quantità delle azioni in
vendita, e conseguente contrazione nei volumi di scambio, associate ad
un allargamento dei differenziali di prezzo (bid-ask) sulle proposte di
negoziazione, che provocheranno un aumento nella volatilità dei corsi
azionari. Non solo. L’investitore che aveva già in carico i titoli
oggetto del divieto percepirà, assieme ad un più alto grado di rischio,
una difficoltà maggiore nella liquidabilità delle proprie posizioni.
Questa percezione distorta del mercato potrebbe certamente indurlo a
vendere, amplificando ulteriormente la volatilità. Anche qualora
l’operatore ribassista decidesse di partecipare al mercato assumendo
posizioni rialziste, dovrebbe farlo necessariamente, considerata la sua
view di fondo negativa, in un’ottica speculativa di brevissimo termine
direttamente correlata ad un più alto grado di rischio. Questa
situazione lo porterebbe a liquidare velocemente gli eventuali profitti
realizzati, un modus operandi che avrebbe chiare ripercussioni sulla
volatilità. Per quel che concerne l’efficienza informativa del prezzo,
si osserverà che gli operatori ribassisti, che fanno ricorso alla
vendita allo scoperto, sono presumibilmente coloro che hanno un più alto
grado di preparazione tecnica in materia di mercati finanziari, e che
quindi agiscono sulla base di un’informazione qualitativamente e
quantitativamente più significativa. La loro assenza dal mercato, o
comunque la loro partecipazione forzata all’acquisto, porterebbe nel
lungo periodo ad una fisiologica sopravvalutazione dei titoli, che
andrebbe giocoforza a peggiorarne il rendimento medio. Le conclusioni
alle quali si è giunti attraverso questa breve disamina puramente
speculativa, portano ad affermare che l’introduzione del divieto di
vendita allo scoperto condurrebbe in realtà alla realizzazione di
obiettivi esattamente opposti rispetto a quelli che si sarebbero voluti
perseguire, e cioè all’aumento della volatilità, alla riduzione dei
volumi di scambio e ad un rischio di mercato percepito come mediamente
più alto. Sarà facile obiettare che queste stesse conclusioni possano
valere dal punto di vista meramente teorico, e che la realtà e il
funzionamento dei mercati è altra cosa. Andiamo dunque ad effettuare
qualche rilevazione empirica per verificare la plausibilità della nostra
tesi. Dallo scorso 12 agosto 2011, data della delibera CONSOB n°17902
che introduceva il divieto di vendita allo scoperto, la volatilità
(misurata a 90 giorni) dell’indice Ftse MIB non solo non si è ridotta ma
è addirittura aumentata del 50%, passando dal 30% circa di allora
all’attuale 45,7%. I volumi di scambio sul derivato dell’indice, il
future MIB con scadenza dicembre 2011, si sono drasticamente ridotti dai
circa 650 mila contratti del mese di agosto agli attuali 400mila. Non
andò diversamente nel 2008, anzi andò peggio. Anche allora la CONSOB
decise di intervenire contro le vendite allo scoperto con la delibera
n°16645 del 1° ottobre, che fu prorogata più volte fino alla fine di
febbraio 2009, e poi ancora fino a maggio. Il risultato di questo
provvedimento fu una crescita della volatilità dell’indice dal 27,9% di
ottobre 2008 a circa il 56% di fine gennaio 2009, con una perdita del
mercato azionario che arrivò a sfiorare il 50% nei primi giorni di marzo
2009. In seguito alla successiva revoca del provvedimento a partire dal
maggio 2009, i corsi azionari ricominciarono a salire dal 9 marzo 2009
fino all’ottobre dello stesso anno, con un raddoppiamento del valore
dell’indice Ftse MIB a fronte di una volatilità in contrazione dal 46%
al 22% nello stesso periodo. A buon intenditor…
a gennaio 2012 pero vigeva la regola di vendita allo scoperto e i titoli sono schizzati in alto fino a marzo.
RispondiEliminaCertamente i prezzi possono risalire in presenza di divieto di vendita allo scoperto. Quello che si vuole mettere in evidenza è l'effetto distorsivo che si ha in relazione all'efficienza informativa della variabile prezzo, e in relazione alla riduzione della volatilità dei corsi, intesa anche come percezione del rischio da parte dell'investitore.
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