giovedì 21 giugno 2012

Operazione twist: il ballo della Fed proseguirà per tutto l'anno.

Nell'ultima riunione del Fomc di ieri la Banca Centrale americana ha deciso di prolungare l'operazione twist, che sarebbe terminata proprio a giugno, mettendo a disposizione altri 267 miliardi di dollari oltre ai 400 utilizzati a partire dal settembre 2011, data di inizio della manovra. Di questa politica che può essere definita come politica di stimolo all'economia avevamo già scritto, e qui di seguito vi riproponiamo l'articolo pubblicato sul nostro e su altri blog finanziari proprio lo scorso settembre 2011. 

Negli anni '60 ballare il twist servì a poco (articolo del 23 settembre 2011)

L’operation twist è arrivata come una tegola sulla testa dei mercati azionari americani, che hanno chiuso la seduta di ieri con pesanti ribassi superiori ai tre punti percentuali. Questa misteriosa operazione di politica monetaria, è stata contemplata dalla Fed nella riunione del FOMC di mercoledì scorso come nuova panacea per i mali che affliggono l’economia di oltre oceano. Tale politica, in realtà, proprio nuova non lo è. Infatti fu messa già in pratica nel lontano 1961 dall’allora amministrazione Kennedy per far fronte alla recessione e al pesante deficit nella bilancia dei pagamenti. In che cosa consiste questa manovra? Nel riacquisto di titoli di Stato a media-lunga scadenza (prevalentemente T-Bonds e T-Notes) finanziato, questa volta, non da nuova emissione di moneta ma dalla vendita di titoli di Stato a breve scadenza (prevalentemente Treasury Bills). L’effetto dovrebbe essere quello di far abbassare l’inclinazione della curva dei tassi d’interesse tramite la riduzione dei tassi a media e lunga scadenza e l’innalzamento di quelli a breve. Qual è l’obiettivo? Quello di stimolare la domanda di immobili e di beni durevoli, quindi anche di investimenti, e nel contempo di migliorare la bilancia dei pagamenti grazie ad un afflusso di capitali dall’estero attirati da tassi di breve termine più competitivi. Tra l’inizio del 1961 e la fine del 1966 effettivamente la curva dei tassi invertì addirittura l’inclinazione, ma ciò non avvenne grazie ad una riduzione dei tassi a lungo termine, che in realtà aumentarono, quanto piuttosto ad una crescita più veloce di quelli a breve. In effetti il tasso sui Bills passò dal 2,35% al 5,21%, superando quello del titolo decennale che nello stesso periodo era comunque cresciuto dal 3,79% al 5,00%. Pare però che questo effetto sia stato provocato, non tanto dalla politica monetaria messa in atto dalla Fed, quanto piuttosto dal fatto che nel 1961 fu apportata una modifica alla “Regulation Q”, legge del 1958, che prevedeva un innalzamento del tetto massimo degli interessi pagabili sui depositi bancari. Fu dunque questa misura, oltre all’introduzione di nuovi strumenti di investimento come i certificati di deposito, a determinare una crescita dei tassi a breve termine nei successivi cinque anni. Inoltre il tasso d’interesse sui titoli decennali non scese, ma salì al 5%. L’effetto reale della “politica del twist” sui tassi a breve, depurato dagli altri fattori, fu trascurabile e stimato in un modesto 0,1% che evidenzia la sua totale inefficacia. Infatti i tassi d’interesse a medio/lungo termine riflettono le aspettative sull’inflazione, e il tentativo di controllarli artificiosamente manipolandoli verso il basso è destinato a fallire. Senza contare che le riserve di titoli a breve scadenza della Fed non sono infinite, e una volta giunte al termine il balletto del twist dovrà necessariamente essere interrotto. Alla luce della congiuntura odierna, pensiamo veramente che una politica di questo tipo possa ridare ossigeno all’economia a stelle e strisce? Noi ne dubitiamo fortemente. Qualcuno dice che la manovra dovrebbe avere l’effetto di trasferire l’enorme liquidità presente nel sistema bancario, dopo le politiche di quantitative easing, all’economia reale, per il semplice motivo che per le banche risulterebbe meno conveniente indebitarsi nel breve per investire a lungo termine. Se anche ciò risultasse vero è altrettanto vero che il sistema bancario non potrebbe comunque, in base ad una propria mera convenienza, obbligare il grande pubblico a contrarre prestiti per investire, per acquistare beni durevoli, o a contrarre mutui per acquistare immobili. Ciò che guida la domanda di moneta, alla fin fine, non sono altro che le aspettative del grande pubblico sul futuro, in altre parole la fiducia che la gente può nutrire nei confronti delle proprie aspettative di reddito. E tale fiducia, al momento, ci sembra assai scarsa. Del resto non dobbiamo fare altro che aspettare qualche mese per verificare l’esito del “nuovo” ballo della Fed, e per sapere se potremo cantare tutti quanti insieme appassionatamente: “Come on let’s twist again…”
Inoltre l’effetto sul tasso di cambio, ammesso che i tassi a breve salgano, sarebbe quello di rafforzare la moneta (in questo caso il dollaro) per il semplice motivo che le attività a breve in dollari diventerebbero più competitive rispetto a quelle degli altri paesi. Ciò determinerebbe infatti un afflusso di capitali dall’estero migliorando la bilancia dei pagamenti. Proprio per questo motivo il cambio euro/dollaro si è deprezzato nelle ultime ore, e il dollar index registra un apprezzamento del dollaro contro tutte le principali divise.

Queste le nostre valutazioni e opinioni dello scorso settembre. Vediamo adesso che cosa è successo in questi otto mesi di politica del twist. 

Il tasso d'interesse a lungo termine, come detto, è il principale obiettivo della politica di stimolo in questione: si cerca di farlo abbassare per incentivare gli investimenti e le compravendite sul mercato immobiliare. Il tasso a dieci anni si attestava all'1,7% nel settembre del 2011, si è impennato fino al 2,4% durante il mese di ottobre 2011 per poi mantenersi costante attorno al 2% per diversi mesi fino ad una nuova crescita al 2,36% lo scorso marzo. Oggi si attesta attorno all'1,66%, cioè appena sei punti base sotto. Quello a due anni segnava lo 0,15% il 19 settembre, ed è cresciuto fino allo 0,40% lo scorso marzo per attestarsi allo 0,30% circa di oggi. L'effetto sui tassi ha sortito dunque un effetto modesto e decisamente trascurabile. Il dollaro si è peraltro rafforzato in maniera piuttosto decisa su tutte le principali divise, come si può rilevare dall'andamento del dollar index salito da circa 73,00 di settembre fino al picco di 83,00 di fine maggio, e dal cross euro/dollaro che ha ceduto circa venti figure nelle stesso periodo passando da 1,43 a 1,23.

Per quel che concerne invece gli effetti sull'economia reale sono anch'essi di entità piuttosto modesta: in particolare il mercato immobiliare è rimasto depresso con un lieve miglioramento nel mese di aprile, mentre più tiepido è il risultato sugli investimenti delle aziende che sembrerebbero essere sulla strada della ripresa. Ma su questi ultimi dati attinenti all'economia reale torneremo in maniera più approfondita.

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