La crisi
nella quale versa la città di Siena e la sua banca, il Monte dei Paschi,
rappresenta l’emblema dei danni che la commistione tra politica ed economia (in
questo caso il sistema bancario) hanno provocato in Italia anche attraverso l’Istituto della Fondazione. Si sa che una Fondazione
si caratterizza, almeno nelle intenzioni del legislatore, come un’organizzazione
non avente scopo di lucro che, in linea puramente teorica, mal si dovrebbe conciliare
con una banca, il cui scopo par excellence è appunto quello di generare
profitti per i propri azionisti. Ma fin qui passi. Quando però nel mezzo ci sta
pure la politica il rischio di inefficienza diventa decisamente più serio, poiché
essa risponde il più delle volte a logiche assistenziali/clientelari che poco
hanno a che vedere con quei criteri di economicità, quei principi cardine, ai
quali ci si deve attenere per la corretta e sana gestione di una qualsiasi
impresa privata.
A Siena il
controllo della Banca Monte dei Paschi è sempre stato saldamente nelle mani
della Fondazione con il 55% dell’azionariato. L’organo di controllo della
Fondazione è sempre stato nominato dal Comune e dalla Provincia di Siena assieme
ad altri enti territoriali. Il Comune e la Provincia di Siena sono nelle mani
della sinistra praticamente dal dopoguerra, quindi negli anni recenti nelle
mani del PD. La Fondazione ha sempre finanziato il territorio attraverso
erogazioni a pioggia ad enti, associazioni, contrade, ecc. ecc. e ovviamente i
cittadini hanno sempre puntualmente ringraziato sostenendo il tutto con un consenso
politico incondizionato ad un perfetto modello clientelare/assistenziale.
Peccato però che il giocattolo si sia improvvisamente rotto.
E che il
giocattolo Banca-Fondazione-Comune-Provincia-Partito Democratico si fosse rotto
lo si era già capito negli anni più recenti dalla vicenda del collocamento
presso il pubblico delle famigerate obbligazioni Casaforte, operazione di
cartolarizzazione legata a doppio filo all’acquisizione della Banca Antonveneta,
pagata a prezzi esorbitanti proprio sull’orlo della crisi, e alla conseguente
creatività nel redigere il bilancio 2009 resasi necessaria per rimpinguare gli
utili e presentare al mercato dei conti (apparentemente) più decenti. Non
entreremo nei dettagli di questa questione, ma ci limiteremo semplicemente ad
osservare che prima o poi tutti i nodi giungono al pettine, e le vicende delle
ultime ore lo dimostrano pienamente.
Il cda di
Monte dei Paschi di due giorni fa è terminato dopo una riunione fiume di undici
ore, e ha partorito dolorosamente il piano industriale della banca senese per i
prossimi tre anni. Il punto cardine prevede una riduzione dei costi del 16%
ottenuta attraverso l'incorporazione delle controllate, la drastica riduzione
degli sportelli (ne verranno chiusi 400), il taglio di circa 4600 posti di
lavoro e la cessione della Cassa di risparmio di Biella e Vercelli
(Biverbanca). Alla tirata d’orecchie da parte dell’EBA (Autorità Bancaria
Europea) in materia di deficit (pari a oltre tre miliardi di euro) e di
adeguamento del Core Tier 1 al livello del 9%, ha risposto direttamente il
Governo italiano autorizzando l’Istituto senese a far ricorso per la seconda
volta ai Tremonti bond fino ad un importo massimo di due miliardi di euro, che
va ad aggiungersi ai precedenti 1,9 miliardi già utilizzati dal Monte poco più
di due anni fa. Il debito complessivo dell’Istituto si avvicina così
pericolosamente alla soglia dei 3,5 miliardi di euro.
E il
punto dolente non è tanto l’aiuto di Stato che la Banca ha ricevuto, e riceverà
ancora, con l’apporto dei nostri soldi, quanto piuttosto il fatto che l’indebitamento
non risponde a quei criteri di economicità di cui abbiamo parlato all’inizio.
La prima emissione di Tremonti bond, quella del 2009, è stata effettuata ad un
tasso medio del 9%. Con la prossima emissione, che dovrebbe presumibilmente attestarsi
a 1,5 miliardi, si stima che il costo complessivo per interessi dell’Istituto
senese sarà pari a circa 250 milioni di euro l’anno, una cifra che rischia di
compromettere seriamente il ritorno alla redditività.
Ecco perché
il mercato ha accolto la notizia del piano industriale, e del ricorso ad una
seconda tranche di Tremonti bond, con freddezza. Il prezzo scende anche oggi
(mentre stiamo scrivendo) e segna un -3,3%, dopo un timido tentativo di ripresa
nella seduta di ieri 27 giugno contenuto entro i 20 eurocents per azione. Vediamo
adesso la situazione tecnica.
MPS aveva intrapreso un forte trend rialzista tra gennaio e marzo 2012, quando
era passato da 0,19 a oltre 0,43 euro, ma nei mesi successivi i prezzi hanno
fatto marcia indietro tornando al punto di partenza esattamente alla fine di
maggio (min. relativo a 0,195 euro). I successivi tentativi di rafforzamento
sono stati arginati nell'area 0,225/0,23 e il 14 giugno i valori hanno
registrato un nuovo minimo storico a quota 0,175. Lo scenario rimane negativo,
anche se i margini di ribasso appaiono piuttosto risicati, e solo nel
brevissimo termine sta diventando neutro con le quotazioni che tendono a
oscillare attorno a 0,20 euro. Il cedimento di 0,19 comporterebbe una nuova
escursione ribassista fino a 0,175, minimo storico che potrebbe anche essere
ritoccato fino a 0,16. Un primo segnale d'inversione di tendenza è da attendere
sopra quota 0,23 euro, e in questo caso la curva dei prezzi di Monte dei Paschi
potrebbe riaggiustarsi fino a 0,27/0,275 in prima battuta e 0,325 in un secondo
momento.
Qualcuno nei
giorni scorsi, dopo la presentazione del piano industriale, ha scritto: “il
titolo vola in borsa”. Peccato che abbia dimenticato di aggiungere che vola
sì, ma vola… basso.
Nessun commento:
Posta un commento